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Sanzioni boomerang e doppiopesismo internazionale

In Analisi on 21/03/2018 at 00:00

Le sanzioni economiche internazionali costituiscono uno strumento (pacifico) di politica estera che viene utilizzato per far sì che uno o più Stati si conformino a determinati comportamenti ritenuti corretti e opportuni da uno o più Paesi (o organizzazioni sovranazionali). Esse si concretizzano nell’interruzione di rapporti economici esistenti e/o nel divieto di avviarne di nuovi.

Tali misure dovrebbero perciò penalizzare esclusivamente il Paese sanzionato, non anche quelli sanzionatori ed è quindi paradossale quello che sta avvenendo con le misure che l’Unione Europea ha, ormai da tempo, introdotto ai danni della Russia per il comportamento da questa tenuto in Crimea e in Ucraina.

L’Italia vi ha aderito senza protestare o proporre mitigazioni e il risultato è che il Belpaese ha perso ben «5 miliardi di esportazioni», come afferma (v. la Repubblica del 6 novembre 2017) «Zeno Poggi, fondatore della Zpc, azienda specializzata nei servizi dell’organizzazione industriale e nella gestione del rischio per il commercio estero», il quale spiega:

«Quando il Paese è stato sanzionato, ha reagito come poteva: inserendo a sua volta pesanti dazi, approvvigionandosi verso altri mercati di sbocco – penso a tutto il comparto alimentare e ortofrutticolo – e con un effetto psicologico laterale: ovvero i Russi hanno iniziato a non viaggiare più in Europa o a comprare prodotti europei. […] Per i Russi la ritorsione era legittima, facile da attuare e a costo zero perché il conto delle sanzioni l’avrebbero pagato le aziende, non le istituzioni».

La pavidità internazionale dell’Italia, la sua “miopia” e la sua incapacità nel far sentire le proprie ragioni in Europa hanno dunque penalizzato fortemente quelle realtà imprenditoriali che avevano forti e crescenti relazioni commerciali con Mosca.

Qualcuno potrebbe replicare dicendo che i diritti umani sono più importanti degli interscambi commerciali.

Avrebbe ragione, ma allora dovrebbe anche spiegare perché si continuano ad intrattenere relazioni economiche, per esempio, con la Turchia o la Cina, che non sono propriamente Paesi democratici e paladini di quei diritti umani che starebbero tanto a cuore all’Unione Europea…

Se non per interesse, almeno per coerenza, l’Italia dovrebbe dirlo a Bruxelles.

Ma a Roma manca il cervello, non solo il coraggio…